Il buoi era color pece. Ma non era un problema. Il buio non lo era mai. Si guardò indietro e poi prese il piccolo sentiero forestale che s’ arrampicava dalla spiaggia su, fino al promontorio. La sabbia lasciava pigramente spazio al terriccio del sottobosco. La costa sottostante era ricoperta dalla gariga e precipita dolcemente in mare. Adesso che era notte non si poteva vedere bene, ma lei lo sapeva: il mare trasparente, rivelava fondali occupati da scogli e zone sabbiose maculate dalle scure praterie di posidonia. Gli abitanti del luogo non lo percorrevano più, preferendo il sentiero più largo e dolce che si addentrava in un bosco di roveri e querce da sughero. Con l'inutilizzo nell'estate precedente, la vegetazione aveva conquistato un po’ di terreno, riducendone il passaggio. Il vento era freddo e pungente e s’ infiltrava attraverso i ginepri e i lentischi. Procedeva a passo spedito, nonostante le difficoltà della camminata, in direzione della rocca, e il freddo si insinuava perfido nella mantella di lana rossa. L’ampio cappuccio in tela le nascondeva il bellissimo volto, e le lunghe ed ampie maniche con i bordi sfrangiati le coprivano appena le mani. Ma era il gelo del terrore a serrarle il cuore e un nodo le torceva lo stomaco. Detestava la vulnerabilità che l'aveva costretta alla fuga. Ma il carico che portava con se era la cosa più importante. Era la sua custode. Non poteva permettersi di perderla, non poteva permettere che gli accadesse qualcosa. Lei era troppo importante per l'umanità. Era determinata nella sua impresa.
Teneva la testa bassa e
continuava a correre stringendo a se un piccolo fagotto, avvolto
nella stessa stoffa della tunica, stretto al petto con una fasci, per non
farlo cadere e tenerlo al caldo.
Era arrivata trafelata ad
una piccola apertura della vegetazione, una rotonda naturale che faceva da
cornice ad un alberello. Una piccola ed elegante betulla, che
rimaneva li, come una delicata ballerina di danza classica, con lunghe
braccia protese al cielo, sembrava danzare alla dolce musica
del vento. Si fermo un istante a riprendere fiato, spostò leggermente il
saio e sorrise alla beatitudine del piccolo volto addormentato. Soffiò
sulle dita gelate, coperte dai mezzi guanti, cercando di riscaldarle.
Nonostante il buio, il panorama rischiarato dalla fiocca luce della luna che si
affacciava alle nubi di madreperla, era mozzafiato. I pochi raggi, donavano
alle onde sospinte dal vento mille riflessi argentati. L'aria che profumava di
mare, si era fatta frizzante e portava i presagi di una imminente nevicata.
Chiuse gli occhi lentamente. Poi si rimise in marcia. Percorse più velocemente
l’ultimo tratto del sentiero che attraversava un boschetto di betulle per poi
aprirsi nell'altopiano ricoperto di macchia. Il sentiero era
ora più pianeggiante, e superò velocemente il piccolo agrumeto,
illuminato dalle piccole lanterne di vetro, appese ai rami. Alcune erano ancora
accese. Altre, dondolavano dolcemente. Erano state appese a rischiarare
la lunga e fredda notte di Santa Lucia. Il vento si era finalmente
placato un poco, e nell'aria si udiva solamente lo
stormire leggero delle fronde. Rallentò, traendo un lento sospiro
di sollievo, finalmente era sotto le mura della rocca! Rimase ferma pochi
secondi, a fissare le finestre della casa padronale, una finestra in
particolare. La luce era spenta. Poi lo sguardo si sollevò rapido verso
la sentinella sopra di lei. Avrebbe percorso rasente le mura per non farsi
vedere fino all'ingresso nascosto,oltre il grande arancio, e poi da
li dentro il palazzo. Come avrebbe spiegato la sua presenza. Come avrebbe
spiegato tutto questo? Niente di ciò che avrebbe potuto dire avrebbe potuto
cambiare le cose, ma doveva comunque provare. La determinazione aveva
lasciato posto all'insicurezza di riuscire a portare a termine la sua missione.
Ogni suo passo crepitava fragoroso sotto la terra. Come avrebbe potuto
sperare che le credessero. Che non erano loro il pericolo. Che il pericolo era
altro. Altri.
All'improvviso l’agitazione
dell’aria le inviò un segnale d’allarme, e il suo istinto percepì una
minaccia stringersi attorno. Estrasse cauta dalla manica il pugnale e si guardò
circospetta intorno, un ombra si frappose fra lei e il palazzo:
“Come hai fatto a trovarmi?”
Sul volto dell’assassino si
accennò un sorriso tirato, la sua testa accennava una negazione,
poi un abbagliante fascio di luce le ferì gli occhi.
Erano lacrime quelle che
aveva visto?
Gli occhi si spalancarono,
per poi richiudersi lentamente. Il corpo ricade a terrà leggero.
L’ombra sparì come un
lenzuolo nero mosso dal vento, nel buoi del cielo della notte di Lacoonia.
Dalla torre, la sentinella non tardò neanche un attimo a dare l’allarme:
vide una folgore lungo il sentiero e la risposta fu rapida e precisa. Quando
arrivarono sul posto, però per la giovane donna non c’era più
niente da fare. E il terrore ombrò gli occhi degli arker alla vista della
fanciulla. Quei capelli biondi nascosti nel cappuccio erano ora sparsi
per terra come fili di seta dorata, i bellissimi occhi era celati dalle
palpebre chiuse.
Sopra le teste dei
soldati il cielo era rosso, e la luna era sparita dietro le nuvole cariche di
neve, che impalpabile iniziava a cadere.
La neve aveva già cominciato
a ricoprire tutto con suo candido colore. Il perimetro era stato circoscritto e
gli arker presidiavano la zona. Percorsero i pochi passi che dividevano le mura
dal luogo che pullulava di soldati bisbiglianti che si ammutolirono
istantaneamente alla vista dell’imponente signore. La grande figura si muoveva
rapida, e l’arker che lo accompagnava cercava di tenere il passo, mentre si
avvicinavano.
“Abbiamo prescritto l’area,
e scannerizzato l’intera zona.”
Thorm alzò il capo e chiuse
gli occhi, mentre appoggiava la mano sul corpo inerte. Un dolore al petto improvvisamente
lo travolse. Si lascio attraversare. Le labbra assaporarono il
gusto salato delle lacrime.
“Elandra?” La domanda
rimase imprigionata nella gola.
Si alzò lentamente. “Avete
avvertito già il supremo?”
Con la testa leggermente
piegata il soldato negò. “
No, abbiamo creduto opportuno avvertire prima lei, mio signore.”
“Va bene” Si giro in direzione della rocca. Le luci si
stavano prematuramente accendendo, sia nel palazzo che giù nel paese. La
voce si doveva già essere sparsa. Un lungo sospiro attraverso i polmoni.
“Svegliatelo, se già non lo
fosse, e scortatelo nel mio studio.” Poi si incammino lentamente. Si fermo pochi istanti dopo, il
soldato non si era ancora mosso, come in attesa. L’uomo non si girò. “inviateci
Marco, e… il corpo… portatelo nel mio studio, non giù. Mi raccomando,
discrezione, se ancora possibile” e
infine di allontano verso il portone.
Il militare si girò e con un
solo gesto del capo, alcuni uomini si mossero come formiche operose che già
sapevano cosa e come fare il loro delicato lavoro. Si muovevano piano, come a
rallentatore. I gesti con cui si muovevano intorno al corpo erano reverenziali.
Il silenzio era inviolabile, ora. Un arker interrupe il suo lavoro e alzò
la testa al cielo, la neve gli cade sul viso, che bruciava. Vocii e rumori
mattutini pervasero le case del paese.
Lucas EnkiLucas NinUrTa,
era il Signore supremo di tutta Lacoonia. Era stato fatto
chiamare con estrema urgenza da Thorm, nel cuore della notte.
L’area della rocca dove era collocata l’infermeria era posta nel
primo livello dei sotterranei. Diversamente da quelli inferiori, questi locali
potevano usufruire della luce naturale che filtrava dalle finestre e
balconcini naturali, realizzati con la roccia della scogliera. A quell’ora però
era la luce artificialmente delle lampade a muro a
illuminarlo rivelando un pavimento e di marmo bianchissimo, su cui
appariva periodicamente un emblema, un ideogramma, mentre le pareti
erano intonacate e tinteggiate a calce.
L’area era abbastanza grande,
e molte sale erano dislocate sia a destra che a sinistra, sul lungo
ed ampio corridoio centrale. Sul fondo di questo, gli appartamenti
del dottore, la prima stanza in cui si accedeva, era il suo studio.
Uno dei primi vani, aveva,
stranamente, le porte aperte. Rivolse un fugace sguardo, non del tutto
intenzionale, verso la sala dove, su un tavolo d’acciaio, si vedeva
chiaramente un corpo disteso, coperto da un lenzuolo. Prosegui,
indifferente verso al sua destinazione con passo spedito. Le lunghe
e possenti gambe superarono l’ andito che portava agli
uffici, proseguendo in direzione della scrivania. La brutta sensazione che
l’accompagnava da quando aveva lasciato i suoi alloggi, facendogli dolere gli
intestini, stava peggiorando di secondo in secondo. Lucas era
chiaramente seccato, essere stato tirato giù dal letto nel cuore di una notte
così fredda, mentre dormiva beatamente avvolto, nelle lunghe e caldi braccia
della sua adorata Elandra, non l’avevano certo reso di buon umore. E,
l’aiutante di Thorm, Marco, lo sapeva bene, sopraggiunto solo ora
trafelato e sudato alle sue spalle. Era sembrato a Lucas, più strampalato
del solito. La natura non era stata molto clemente con lui. Cresciuto velocemente,
l’insieme risultava goffo e scoordinato: molto alto e troppo magro,
come un chiodo, aveva piedi e mani enormi, camminava sgraziato e
tirava continuamente su gli occhiali che cadevano sul lungo naso aquilino. I
capelli ispidi e rossicci incorniciavano un viso ossuto e ovale, tempestato di
efelidi. Si era presentato alla sua porta, con occhi e spalle basse, aveva
formulato parole incoerenti, relativamente ad un’ urgenza che chiedeva la
sua presenza giù nello studio di Dok. Lucas, si rassegnò. Sapeva che Thorm, se
non ci fosse stata una reale necessità, non l’avrebbe mai fatto chiamare.
Marco, si stringeva le mani fino a far diventare le nocche
bianche, mentre balbettando si scusava di averlo disturbato, e
ingenuamente lanciò uno sfuggevole sguardo oltre la soglia, in direzione della
camera. Un ringhio gutturale dimostrò che il supremo non aveva apprezzato
l’audacia del ragazzino, che subito indietreggiò abbassando ulteriormente
lo sguardo, e indietreggiando. Lucas, era un uomo altissimo, un gigante
con i suoi 217 cm, decisamente molto affascinante e seducente,
aveva nei tratti del viso lineamenti nobili ed eccitanti,
il fisico asciutto e scattante, con ampie spalle. L’ aspetto
austero incuteva timore e rispetto a chiunque, nemico o amico, che si
parasse davanti. Ma quello che lasciava senza fiato, era celato nel suo
sguardo. Nei suoi occhi, occhi che venivano da un altro mondo,
specchio di un anima tormentata, che avevano visto tanto, forse troppo.
Il nero della pupilla si perdeva nel grigio plumbeo dell’iride,
dove la luce sembrava svanire, come ingoiata da un profondo buco nero.
Eppure quegli stessi occhi,
si accendevano durante la battaglia. Il fuoco divampava e assumevano il
colore della guerra e della distruzione, diventavano di un porpora
luminosissimo. Era un guerriero. Un comandante di battaglie. Un audace
condottiero. Tutto il lui si trasformava, e si preparava alla battaglia: i suoi
occhi potevano vedere nella più nera delle oscurità, e i suoi sensi
diventavano acuti e sensibili. Quello che faceva ridere Elandra era che,
nonostante quest’aria da eroe mitologico, da Dio greco, il supremo
sopportava male e poco, il freddo. Il freddo era il suo
tallone d’Achille. Indosso, in tutta fretta gli indumenti che trovo più
velocemente pronti: una maglia di cotone nera sopra a dei pantaloni di morbido
tessuto elasticizzato color antracite, fermati alla vita da una fascia
elastica. Uscito di corsa si era dimenticato le scarpe, ed ora a piedi
nudi, moriva di freddo: il pavimento di marmo che correva per tutti i corridoi
della rocca era gelato, quella notte. Tornare in dietro era troppo tardi, stava
già scendendo rapidamente la scala interna che portava ai sotterranei.
“ Cosa diavolo è
successo Thorm, per tirarmi giù dal letto nel cuore della notte? Fa un freddo
boia. Sai quanto odio il freddo?”
Thorm gli venne incontro,
stava parlando con alcuni uomini presenti nel suo studio. Sembrava che anche
lui, come gli altri fosse stato tirato giù dal letto: la barba
incolta, i capelli scompigliati. Indossava una camicia di cotone
grigia lunga fino alle ginocchia, con scollo a v e dei jeans blues,
sbiaditi. La tunica di lana con il cappuccio, i pantaloni e le scarpe erano umidi. Era uscito con questo freddo?
Per Lucas, Thorm era un
amico, un fratello. Era il detentore delle antiche arti della
medicina e del sapere di Lacoonia. La memoria di tutto un popolo.
Dok, come spesso era
chiamato, voleva parlare con Lucas da solo. Fece un cenno ai sui
assistenti che uscirono prontamente, chinando il capo in cenno di saluto. Marco
si fermò davanti e gli rivolse uno sguardo accorato, il viso deturpato
dall'acne, del ragazzino, era più mesto del solito. Tutto questo mistero
cominciava davvero a dargli la nausea. Dok si tolse gli
occhiali, che non utilizzava per una reale necessità, ma per puro
divertimento, convinto che due piccole lenti potessero dargli quell’aria colta
ed intelligente, ma che invece gli davano l'aria di uno squilibrato. Li
posò delicatamente sulla grande scrivania. Il piano del tavolo era
grande, rivestito in pelle e lavorata con circonferenza dorata. Accese la
luce della bella lampada in ottone brunito, poi crollo sulla poltrona,
massaggiandosi le sopracciglia in segno di evidente stanchezza. Sospirò
profondamente. Lucas, si era seduto su una delle due poltrone di velluto, poste
di fronte la scrivania di Thorm, attendeva accigliato. Ora le mani di Dok
coprivano il volto tirato, a nascondere una smorfia di dolore. Ma Lucas
non se ne accorse, irritato per il freddo preso, e per l’urgenza con la quale
Thorm l’aveva chiamato. In quell’attesa, per lui inutile, si stava
massaggiando un piede in cerca di ristoro dal freddo pungente.
“Spero per te, che si stia
scatenando la furia degli dei, perché solo loro ti potranno salvare questa
volta. Fa un freddo cane, lo sai? Ero
beatamente crogiolato fra le braccia della mia adorata Elandra quando mi hai
fatto chiamare….Allora… si può sapere….?” La
voce era un misto fra l’ironico e l’irritato, non era ben chiaro quando
iniziava l’uno e finiva l’altro.
“Come eri “fra le braccia di
Elandra”? Elandra era con te quando ti hanno chiamato?” Thorm si era alzato di scatto dalla sua
postazione, le mani cadute pesantemente sulla scrivania, sorreggevano il peso
del corpo proteso verso l’amico. Il tono della voce era concitato, urgente.
Come un ruscello che si riempie in fretta al primo temporale estivo. Lucas lo
fissava sbigottito. Gli occhi sgranati. “che
dio mi aiuti? Ma che ti prende?” Si
era lievemente spostato in dietro con la testa, a guardare meglio il volto
dell’amico che appariva tirato. Era chiaro che aveva pianto, che stava
ancora cercando di trattenere le lacrime. Gli occhi erano rossi, e gonfi. Lucas
si alzò leggermente e con uno sguardo interrogativo cercava di capire cosa
fosse capitato all'amico che lanciava brevi e continui sguardi in
direzione del corridoio.
Lucas lo fissava, il suo
occhi trapelavano inquietudine. Aggrottò le sopracciglia e strizzò gli
occhi come per mettere a fuoco, inclinando leggermente la testa. “Dannazione Thorm!” l’imprecazione mugugnata era stata
attenuata dal terrore che si faceva strada nel profondo della sua anima,
una sensazione di nausea gli invadeva ora la bocca, e l’improvviso
accelerare dei suoi battiti lanciarono un terribile sospetto!
Si girò verso il corridoio
in direzione della stanza mortuaria, rivedeva il del tavolo coperto con
il telo bianco, poi di nuovo verso il dottore immobile. Lo sguardo fisso.
“Mi dici, perché sono
qui, Thorm? Mi sto
incazzando davvero molto ora, sai?Di chi è il corpo steso nella sala la in
fondo?” I suoi occhi si
fecero rossi, incide della sua ira crescente, e la pelle cominciò a
tirare. Le mani si chiusero a pugno, mentre iniziavano a tremare.
Era sempre più nervoso e la sua attenzione era proiettata verso la sala.
Dok spostò il volto di lato,
e abbassò lo sguardo.
“Pochi minuti fa, ero appena
entrato nelle mie stanze, Marco mi è venuto a chiamare. La sentinella aveva
avvistato un fascio di luce provenire dalle mura esterne alla rocca, poco
distante dall’agrumeto. Nell’area avevano trovato il corpo di una donna. Una
giovane donna morta, avvolta in una tunica rossa. Mi sono recato sul
luogo. Gli arkers avevano gli occhi disperati, uno di loro piangeva.
Sembravano un gruppo di bambini….” La voce di Dok era rotta dal pianto che risaliva su dalla gola.
Alzò gli occhi in quelli dell’amico. “Sei…
sei sicuro che Ela era con te, quando ti hanno chiamato?” La voce usciva dalla gola in modo
innaturale per uno come lui, fino a smettere di essere udibile.
Sicuro? Sicuro di cosa? Lucas, si girò velocemente e superò in pochi
istanti la distanza che si frapponeva fra lui e la stanza dove c’era il corpo.
Sollevò con un solo strappo il telo che lo copriva. La paura permeava ogni
cellula del suo essere. Rimase immobile per un palpito, mentre il lenzuolo
ricadeva leggero sul pavimento, un movimento lento, lungo un intero attimo. La
mano tremava, mentre spostava i lunghi capelli chiari dalla fronte e dal
viso che si erano sollevati leggeri nell'aria. Riconobbe subito il
volto pallido e senza vita, il delicato profilo, la deliziosa
carnagione chiara lievemente tinteggiata dal rosa delle efelidi. Gli
occhi erano chiusi nel viso sereno, come addormentato.
Il corpo che giacevi
immobile, era quello di Elandra. L’amore della sua vita, era
distesa ed esanime. La vista ondeggiò per il martellare crescente
alla testa. Barcollo leggermente ed indietreggio di uno, due passi, poi come
preso dalla follia corse via velocemente, ci vollero solo pochi secondi per
arrivare davanti alla porta della sua stanza.
Indugiò un attimo, poi
spalancò la porta con furia, fino a farla barcollare sui cardini.
Si rese conto solo dopo che, se Ela dormiva, l’avrebbe
spaventata. La vedeva sollevarsi dal letto, in un sussulto di irritazione “
Ma che diavolo fai?” Si,
sarebbe stata furente per essere stata svegliata di soprassalto. La piega della
fronte sollevarsi. Ma l’immagine svanì velocemente. Dal letto non ci
furono movimenti. Il supremo si avvicinò, posando i piedi sul tappeto di
morbida lana, rallentava progressivamente nell'avvicinarsi alle
sponde, e attese alcuni secondi prima di spostare le lenzuola lentamente. Il
letto era vuoto. Passo la mano delicatamente. Il letto era tiepido da entrambi
i lati. Una densa oscurità si faceva strada ora nella sua mente. Cercava
di scacciare il fastidioso pensiero che potesse essere davvero lei,
la donna adagiata sul lettino.
No, non era possibile,
era li pochi minuti prima, l’aveva sentita muoversi quando si era alzato per
aprire la porta. O no? No, poteva sentire ancora il calore del suo
morbido corpo, appoggiato alla sua schiena. La sua dolce bocca posata sul suo
collo. Nelle narici era ancora presente il suo odore. Quella dolce fragranza di
gelsomino e zagara. Quel profumo
sensuale ed avvolgente che gli faceva girare la testa. Chiuse
gli occhi. Ed inspirò profondamente.
“Dove diavolo sei Ela?” Appoggiò le mani sul volto, poi una
folgorazione. Girò la testa di lato, in direzione della porta che conduce verso
le stanze di Farrel. Un sorriso illuminò il volto del supremo che prese a
camminare in direzione della stanza del figlio. Fece scattare con il pensiero
le serrature, per non perdere tempo, ed entro d’impulso nella stanza, proiettato
verso la curve femminile che percepiva appena.
Il rumore fece girare la
donna.
“Buon giorno signore, avete
visto Elandra? Farrell ha al febbre, ho sentito che piangeva ma non trovo
la signora da nessuna parte” La voce pacata ed incalzante
di risposte, non era chiaramente quella di Elandra. Ma di Laura.
“No, non l’ho vista….” Lucas indietreggiava lentamente. Si voltò velocemente, e riprese i
suoi passi, in direzione dell’infermeria. LA donna che lo chiamava, alle
spalle. Entrò lentamente e trovò Thorm vicino al tavolo dove riposava Elandra.
Dok lo sentì avvicinarsi. Era stato via solo pochi minuti.
“Questa non è la mia
Ela, non può essere lei, …no, ci deve essere un’altra spiegazione” Lucas era stato un
feroce guerriero, capace di incutere terrore ai nemici solo con la sua
presenza in campo, ora tremava, scosso dal dolore crescente per la perdita
dell’unica donna che avesse mai amato. Le forti braccia raccolsero
delicatamente il corpo magro e sfinito della ragazza. I capelli color dell’oro
che lo circondavano ricadevano impalpabili. Una mano cadde oltre il lettino e
il volto si girò lievemente. La mano sfiorò il viso, e un aspro sorriso gli
increspo le labbra. Gli occhi erano pieni di quelle lacrime ch nessuno
aveva mai visto. Lucas fu accecato dai ricordi che, come lucciole
iridescenti gli volteggiavano davanti agli occhi.
Durante l’inverno, poco
prima dell’alba, era abitudine per gli abitanti di Lacoonia, raccogliere
le vongole, i lumachini e i cannelli che si trovavano nelle secche. In
una mattina particolarmente mite, furono alcune donne accompagnate dai
bambini, che si recavano al mare, a dare l’allarme. Il suono della
sirena arrivava direttamente dalla torretta della sentinella. Quel suono
aveva spezzato il sonno degli abitanti di Lacoonia, e avrebbe cambiato per
sempre la vita del loro Supremo.
Lucas, scortato da alcuni
arker scesero alla spiaggia. I primi corpi, sospinti dalle onde, furono
trovati nascosti tra gli scogli o adagiati sulla battigia. Ma mentre la
città cercava di capire cosa fosse successo, altri corpi si fermarono sulla
riva durante tutto il giorno. Circa 140 persone in tutto: donne , uomini,
bambini….Impossibile capire cosa fosse successo, da dove venissero tutte quelle
persone, e come fossero riusciti ad arrivare fin li. Passarono giorni in cerca
di spiegazioni. Ma nulla.
Una settimana
dopo, il mare restituiva il corpo di una donna in evidente stato di
gravidanza e di un bambino. Entrambi vivi, ma in fin di vita.
La donna si chiamava
Elandra. La loro nave era stata speronata a largo delle coste delle
coste della Mauritania, nell’Africa Occidentale. I pirati erano riusciti ad
isolarla e l’avevano condotta abbastanza lontano dalla costa da impedire alle
altre imbarcazioni che facevano parte della flotta, di raggiungerla.
Una volta raggiunte le isole di Capo Verde, i pirati salirono a bordo.
Trucidarono i 18 uomini dell’equipaggio, compreso il marito di Elandra, e
poi buttarono i loro corpi in mare, mentre le donne e i bambini furono
rinchiusi nella stiva.
Ma lo speronamento
dell’imbarcazione era stato troppo violento e l’imbarcazione cominciò ad
imbarcare acqua. Le donne provarono a tamponare l'acqua con le mani ma non vi
fu nulla da fare. Sotto la pressione dell’acqua la struttura cedette
completamente: la gente in mare, il panico, le urla disperate e le teste che
sparivano annaspando: questi erano gli ultimi ricordi di Elandra.
Lucas ricordava bene
la prima volta che l’aveva vista. I suoi occhi. Un turchese profondo, con
leggere screziature d’orate. La stavano portando d’urgenza in sala
operatoria, distesa sul lettino dell’ospedale, mentre Dok la preparava per un
operazione che le avrebbe cambiato la vita. Inspiegabilmente era rimasto li,
qualcosa in lei gli dava una sensazione di deja vu amaro, nostalgico. La
ricordava piangente quando, dopo aver aperto tremolando le palpebre, il verde
oro dei suoi occhi lo fissavano, in cerca di una risposta, e quando questa
arrivò, il terrore offuscò il suo sguardo lasciando spazio alle lacrime e
all’angoscia che seguirono. Il cuore di Lucas soffrì per lei.
Ma il ricordo che più lo
lasciva senza fiato, quello che l’ aveva emozionato più dei mille
tramonti vissuti, più del volo degli uccelli sulle onde increspate del mare di
Lacoonia, che lo scuoteva più del fragore delle spade nelle infinite
battaglie combattute, fu il periodo che segnò la
rinascita di Elandra: lei era meravigliosa. L’essere più straordinario
che avesse mai visto nella sua lunga, lunghissima vita. Aveva perso
tutto, suo marito, il figlio che portava in grembo, e aveva abbandonando ogni
speranza di poterne avere altri, ma era riuscita a rimettersi in
piedi. Aveva un sorriso per tutti, una parola di conforto per ogni
uomo o donna che a lei si rivolgeva. La ricordava ridente mentre si
occupava del piccolo Farrell. Dio come avrebbe fatto ora. Come avrebbe
potuto dire ad un bambino di sei anni che la sua adorata mamma, non c’era più. Poi gli occhi caddero sulla piccola voglia sulla caviglia.
Quante volte le sue labbra avevano indugiato delicatamente su le
piccole ali di farfalla color ambra?
Lucas sbatté le palpebre
leggermente, d’istinto aveva appoggiato lo sguardo sulla farfalla, ma
dentro di lui qualcosa non era al posto giusto.
Lucas si mosse
barcollante, instabile. Teneva strettamente l’esile corpo. Le lacrime
ricadevano sul viso della giovane. E mentre il vuoto accelerava le sue spirali
nella mente di Lucas, Elandra era li, dall'altra parte della stanza.
Lucas, percepì la sua presenza ancora prima di vederla. La donna era in piedi,
e sorrideva un po’ tristemente mentre i suoi lunghi capelli si muovevano
ad una leggera brezza impalpabile. Le lacrime solcavano le sue guance
e la bocca cominciò a tremare. La camicia da notte color perla fluttuava mossa
da una forza invisibile, la stessa che muoveva i lunghi capelli sciolti, e le
accarezzava i piedi nudi lasciando scoperte le caviglie, la farfalla sulla caviglia
sinistra sembrava muoversi.
Lucas scuoteva la testa.
Incredulo. Qualunque cosa tu sia:
allucinazione, sogno, spirito, …non dire nulla, non andare via, rimani qui…. La gola di Lucas bruciava, e quelle
parole non uscirono dalla sua bocca.
Un sorriso triste si distese
sul viso della giovane. Lucas fissava l’apparizione, si alzò lentamente
lasciando delicatamente il corpo. La figura la guardò, e socchiuse gli occhi.
Le lacrime scesero velocemente lungo il viso. L’aria intorno ad Elandra si mosse,
e lei indietreggiò in un tunnel d’onde circolari, a simulare l’effetto di
un sasso lanciato nell'acqua, poi un onda d’energia invasa la sala e
lei svanì definitivamente.
L’orrore aveva riempito il
suo corpo. Un senso di nausea salì rapido fino alla gola, aumentando il dolore
che gli aveva procurato le lacrime. Cadde sulle sue ginocchia. Non riusciva a
rimettersi in piedi. Stordito, completamente in balia di un senso di
intontimento crescente.
***
“E’ meravigliosa. Lacoonia,
è meravigliosa. E’ sorprendente …vorrei che rimanesse per sempre così, così
come è adesso: con il profumo dei fiori che rasserenano
l’aria, e il vento che lo porta lontano…” Ma nulla può rimanere invariato. La primavera
non rimane per sempre. Elandra
era bellissima nel suo vestito da sposa, aveva la vita alta posizionata appena
sotto il seno che allungava ancora di più la sua figura già alta e sinuosa,
alla fine del dolce drappeggio c’erano dei decori che ricordavano
la zagara in piena fioritura, sotto cui era seduta. Guardava
lontano verso il mare, e i suoi lunghi capelli erano semplicemente raccolti con
una mezza coda, liberi di danzare leggeri nella brezza primaverile.
Per Lucas era chiaro solo
ora, lei era angosciata… Gli occhi di Elandra tradivano uno smarrimento, una
inquietudine, che lui aveva sempre interpretato come il ricordo
dell’’esperienza dolorosa del rapimento. Ma forse la sua piccola zagara
nascondeva qualcos'altro.
***
Thorm era appoggiato con la
testa alle mani, i gomiti sulla morbida pelle della sua scrivania.
Aveva lasciato Lucas che si dirigeva come uno spettro verso le sue stanze, e
lui si era diretto nello studio. Si mise una mano sulla fronte, sfregandola
dolorosamente. Per lui tutto questo era un mistero. Lucas sosteneva che Ela era
con lui. Ma questo corpo era già qua quando diede l’ordine di convocarlo.
Cosa era successo? Chi era questa ragazza che sembra in tutto e per tutto,
Elandra? Cosa ci faceva fuori dalle mura della rocca e chi era la
bambina? I pugni serrati, stringevano le dita.
Il corpo di Elandra, era
stato portato nello scanner biologico. Sperava che l’analisi del corpo
potessero portare a qualche risoluzione all'enigma della morte. E
aspettava anche i risultati dei rilievi nell’area del ritrovamento.
Con questi domande in testa,
cominciava a studiare i primi referti che gli arrivavano dalla sala analisi.
Ciò che vedeva non gli piaceva.
Dalla porta dello studio
Marco, entro trafelato, il viso tirato “
Dottor Thorm, sta rischiarando!” A
quelle parole, dopo pochi secondi di incertezza, Thorm si alzò di scatto dalla
sua scrivania, si girò leggermente con il busto verso un’ agenda posizionata
appena di lato. Si sollevò velocemente, voltandosi verso le finestre. Una lieve
luce filtrava timida dalle finestre. Era l’aurora. Un chiarore rosato
accompagnava il sole verso l’alba! Non sarebbe stato tutto così tremendamente
strano se non fosse che era il 13 dicembre. “Dannazione cosa sta succedendo a
Lacoonia?”
Thorm percorse
rapidamente il corridoio del suo studio, e si precipitò giù per le scale in
direzione della sala circolare. Due livelli sotto. Doveva superare due livelli
per raggiungerla. Con un lieve tocco su alcune pietre poste su un tavolo di
granito verde rotondo, attivò un immenso schermo verticale che
identificava la situazione di Lacoonia.
Le dita si mossero veloci
sulla tastiera. “Dannazione, dannaZIONE, DANNAZIONE!”
Thorm portò le mani sul
volto, le alzo poi in alto per farle ricadere violentemente sul marmo. Il
granito si mosse sotto i colpi del possente guerriero.
Doveva parlare con Lucas
subito. Metterlo al corrente di cosa stava succedendo. Era ormai certo, che
quello che stava capitando era direttamente connesso alla morte di
Elandra.