capitolo - 13 dicembre



Il buoi era color pece. Ma non era un problema. Il buio non lo era mai. Si guardò indietro e poi prese il  piccolo sentiero forestale che  s’ arrampicava dalla spiaggia su,  fino al promontorio. La sabbia lasciava  pigramente spazio al terriccio del sottobosco. La costa sottostante era ricoperta dalla gariga e  precipita dolcemente  in mare. Adesso che era notte non si poteva vedere bene, ma lei lo sapeva: il mare  trasparente, rivelava fondali occupati da scogli e zone sabbiose maculate dalle scure praterie di posidonia. Gli abitanti del luogo non lo percorrevano più, preferendo il sentiero più largo e dolce che si addentrava in un bosco di  roveri e querce da sughero. Con l'inutilizzo nell'estate precedente, la vegetazione aveva conquistato un po’ di terreno, riducendone il passaggio.  Il vento era freddo e pungente e  s’ infiltrava  attraverso  i ginepri e i  lentischi. Procedeva a passo spedito, nonostante le difficoltà della camminata,   in direzione della rocca, e il freddo si insinuava perfido  nella mantella di lana rossa. L’ampio cappuccio in tela le nascondeva il bellissimo volto,  e le  lunghe  ed ampie maniche con i bordi sfrangiati le coprivano appena  le mani. Ma era il  gelo del terrore a serrarle  il cuore e un nodo le torceva lo stomaco. Detestava la vulnerabilità che l'aveva costretta alla fuga. Ma il carico che portava con se era la cosa più importante. Era la sua custode. Non poteva permettersi di perderla, non poteva permettere che gli accadesse qualcosa. Lei era troppo importante per l'umanità. Era determinata nella sua impresa.

Teneva la testa bassa e continuava a correre stringendo a se un  piccolo fagotto,  avvolto nella stessa stoffa della tunica, stretto al  petto con una fasci, per non farlo cadere e tenerlo al caldo.

Era arrivata trafelata ad una piccola apertura della vegetazione, una rotonda naturale che faceva da cornice ad un alberello. Una piccola ed elegante   betulla,  che rimaneva li, come una delicata  ballerina di danza classica, con lunghe  braccia protese al cielo,  sembrava danzare alla dolce musica del  vento. Si fermo un istante a riprendere fiato, spostò leggermente il saio e  sorrise alla beatitudine del piccolo volto addormentato. Soffiò sulle dita gelate, coperte dai mezzi guanti, cercando di riscaldarle. Nonostante il buio, il panorama rischiarato dalla fiocca luce della luna che si affacciava alle nubi di madreperla, era mozzafiato. I pochi raggi, donavano alle onde sospinte dal vento mille riflessi argentati. L'aria che profumava di mare, si era fatta frizzante e portava i presagi di una imminente nevicata. Chiuse gli occhi lentamente. Poi si rimise in marcia. Percorse più velocemente l’ultimo tratto del sentiero che attraversava un boschetto di betulle per poi aprirsi  nell'altopiano ricoperto di macchia. Il sentiero era ora  più pianeggiante, e  superò velocemente il piccolo agrumeto, illuminato dalle piccole lanterne di vetro, appese ai rami. Alcune erano ancora accese. Altre, dondolavano dolcemente. Erano state appese a rischiarare  la lunga e fredda notte di Santa Lucia.  Il vento si era finalmente placato un poco,  e nell'aria  si udiva solamente lo stormire  leggero delle fronde. Rallentò,  traendo un lento sospiro di sollievo,  finalmente era sotto le mura della rocca! Rimase ferma pochi secondi, a fissare le finestre della casa padronale,  una finestra in particolare. La luce era spenta. Poi lo sguardo si sollevò rapido  verso la sentinella sopra di lei. Avrebbe percorso rasente le mura per non farsi vedere fino all'ingresso nascosto,oltre il grande arancio, e poi da li dentro il palazzo. Come avrebbe spiegato la sua presenza. Come avrebbe spiegato tutto questo? Niente di ciò che avrebbe potuto dire avrebbe potuto cambiare le cose, ma doveva comunque provare. La determinazione  aveva lasciato posto all'insicurezza di riuscire a portare a termine la sua missione. Ogni suo passo crepitava  fragoroso sotto la terra. Come avrebbe potuto sperare che le credessero. Che non erano loro il pericolo. Che il pericolo era altro. Altri.

All'improvviso l’agitazione dell’aria le inviò un segnale d’allarme,  e il suo istinto percepì una minaccia stringersi attorno. Estrasse cauta dalla manica il pugnale e si guardò circospetta intorno,  un ombra si frappose fra lei e il palazzo: 

“Come hai fatto a trovarmi?”

Sul volto dell’assassino si accennò un sorriso tirato, la sua testa accennava una negazione,   poi un abbagliante fascio di luce le ferì gli occhi.

Erano lacrime quelle che aveva visto?

Gli occhi si spalancarono, per poi richiudersi lentamente. Il corpo ricade a terrà leggero.

L’ombra sparì  come un lenzuolo nero mosso dal vento, nel buoi del cielo della notte di Lacoonia. Dalla torre, la sentinella non tardò neanche un attimo a dare l’allarme:  vide una folgore lungo il sentiero e la risposta fu rapida e precisa. Quando arrivarono sul posto, però per la  giovane donna  non c’era più niente da fare. E il terrore ombrò gli occhi degli arker alla vista della fanciulla. Quei capelli biondi nascosti nel  cappuccio erano ora sparsi per terra come fili di seta dorata, i bellissimi occhi era celati dalle palpebre chiuse.

Sopra  le teste dei soldati il cielo era rosso, e la luna era sparita dietro le nuvole cariche di neve, che impalpabile iniziava a  cadere.

La neve aveva già cominciato a ricoprire tutto con suo candido colore. Il perimetro era stato circoscritto e gli arker presidiavano la zona. Percorsero i pochi passi che dividevano le mura dal luogo che pullulava di soldati bisbiglianti che si ammutolirono istantaneamente alla vista dell’imponente signore. La grande figura si muoveva  rapida, e l’arker che lo accompagnava cercava di tenere il passo, mentre si avvicinavano.

“Abbiamo prescritto l’area, e scannerizzato  l’intera zona.”

Thorm alzò il capo e chiuse gli occhi, mentre appoggiava la mano sul corpo inerte. Un dolore al petto improvvisamente  lo travolse. Si lascio attraversare. Le labbra assaporarono   il gusto salato delle lacrime.

“Elandra?” La  domanda rimase imprigionata nella gola.

Si alzò lentamente. “Avete avvertito già il supremo?”

Con la testa leggermente piegata il soldato  negò. “ No, abbiamo creduto opportuno avvertire  prima lei, mio signore.”
 “Va bene” Si giro in direzione della rocca. Le luci si stavano  prematuramente accendendo, sia nel palazzo che giù nel paese. La voce si doveva già essere sparsa. Un lungo sospiro attraverso i polmoni.

“Svegliatelo, se già non lo fosse, e scortatelo nel mio studio.” Poi si incammino lentamente. Si fermo pochi istanti dopo, il soldato non si era ancora mosso, come in attesa. L’uomo non si girò. “inviateci Marco, e… il corpo… portatelo nel mio studio, non giù. Mi raccomando, discrezione, se ancora possibile” e infine di  allontano verso il portone.

Il militare si girò e con un solo gesto del capo, alcuni uomini si mossero come formiche operose che già sapevano cosa e come fare il loro delicato lavoro. Si muovevano piano, come a rallentatore. I gesti con cui si muovevano intorno al corpo erano reverenziali. Il silenzio era inviolabile, ora.  Un arker interrupe il suo lavoro e alzò la testa al cielo, la neve gli cade sul viso, che bruciava. Vocii e rumori mattutini pervasero le case del paese.


Lucas EnkiLucas NinUrTa,  era il Signore supremo di  tutta Lacoonia.  Era stato fatto chiamare con estrema urgenza da Thorm,  nel cuore della notte.  L’area della rocca dove era  collocata l’infermeria era posta nel primo livello dei sotterranei. Diversamente da quelli inferiori, questi locali potevano usufruire della luce naturale che filtrava dalle  finestre e balconcini naturali, realizzati con la roccia della scogliera. A quell’ora però era la  luce  artificialmente  delle lampade a muro a illuminarlo rivelando un  pavimento e di marmo bianchissimo,  su cui appariva periodicamente un  emblema, un ideogramma,  mentre le pareti erano  intonacate e tinteggiate a calce.

L’area era abbastanza grande, e  molte sale erano dislocate sia a destra che a sinistra, sul  lungo ed ampio corridoio centrale.  Sul fondo di questo,  gli appartamenti del dottore,  la prima stanza in cui si accedeva,  era il suo studio.

Uno dei primi vani, aveva, stranamente, le porte aperte. Rivolse un fugace sguardo, non del tutto intenzionale, verso la sala dove,  su un tavolo d’acciaio, si vedeva chiaramente un corpo disteso, coperto da un lenzuolo. Prosegui, indifferente  verso al sua destinazione con passo spedito.  Le lunghe e possenti gambe  superarono  l’ andito che  portava  agli uffici, proseguendo in direzione della scrivania. La brutta sensazione che l’accompagnava da quando aveva lasciato i suoi alloggi, facendogli dolere gli intestini,  stava peggiorando di secondo in secondo.  Lucas era chiaramente seccato, essere stato tirato giù dal letto nel cuore di una notte così fredda, mentre dormiva beatamente avvolto, nelle lunghe e caldi braccia della sua adorata Elandra, non l’avevano certo reso di buon umore. E, l’aiutante di Thorm, Marco, lo sapeva bene,  sopraggiunto solo ora  trafelato e sudato alle sue spalle.  Era sembrato a Lucas, più strampalato del solito. La natura non era stata molto clemente con lui. Cresciuto velocemente,  l’insieme risultava goffo e scoordinato: molto  alto e troppo magro, come un chiodo, aveva  piedi e mani enormi,  camminava sgraziato e tirava continuamente su gli occhiali che cadevano sul lungo naso aquilino. I capelli ispidi e rossicci incorniciavano un viso ossuto e ovale, tempestato di efelidi. Si era presentato alla sua porta, con occhi e spalle basse, aveva formulato parole incoerenti, relativamente ad un’ urgenza che chiedeva  la sua presenza giù nello studio di Dok. Lucas, si rassegnò. Sapeva che Thorm, se non ci fosse stata una reale necessità, non l’avrebbe mai fatto  chiamare.  Marco, si stringeva le mani  fino  a far diventare le nocche bianche, mentre balbettando si scusava  di averlo disturbato, e  ingenuamente lanciò uno sfuggevole sguardo oltre la soglia, in direzione della camera. Un ringhio gutturale dimostrò che il supremo non aveva apprezzato l’audacia  del ragazzino, che subito indietreggiò abbassando ulteriormente lo sguardo, e indietreggiando. Lucas,  era un uomo altissimo, un gigante con i suoi 217 cm, decisamente molto affascinante e seducente,   aveva nei tratti del viso lineamenti  nobili ed eccitanti, il  fisico asciutto e scattante, con ampie spalle.  L’ aspetto austero incuteva timore e rispetto a chiunque, nemico o amico, che  si parasse davanti.  Ma quello che lasciava senza fiato, era celato nel suo sguardo. Nei suoi occhi,  occhi che venivano da un altro mondo,  specchio di un anima tormentata, che avevano visto tanto, forse troppo. Il nero della pupilla si perdeva nel grigio plumbeo dell’iride,  dove  la luce sembrava svanire, come ingoiata da un profondo buco nero.

Eppure quegli stessi occhi, si accendevano  durante la battaglia. Il fuoco divampava e assumevano il colore della guerra e della distruzione, diventavano di un porpora luminosissimo. Era un guerriero. Un comandante di battaglie. Un audace condottiero. Tutto il lui si trasformava, e si preparava alla battaglia: i suoi occhi potevano  vedere nella più nera delle oscurità, e i suoi sensi diventavano acuti e sensibili. Quello che faceva ridere Elandra era che, nonostante quest’aria da eroe mitologico, da Dio greco, il supremo  sopportava male e poco,  il freddo. Il freddo  era il suo tallone d’Achille.  Indosso, in tutta fretta gli indumenti che trovo più velocemente pronti: una maglia di cotone nera sopra a dei pantaloni di morbido tessuto elasticizzato color antracite, fermati  alla vita da una fascia elastica. Uscito di corsa  si era dimenticato le scarpe, ed ora a piedi nudi, moriva di freddo: il pavimento di marmo che correva per tutti i corridoi della rocca era gelato, quella notte. Tornare in dietro era troppo tardi, stava già scendendo  rapidamente la scala interna che portava ai sotterranei.

“ Cosa diavolo è  successo Thorm, per tirarmi giù dal letto nel cuore della notte? Fa un freddo boia. Sai quanto odio il freddo?”

Thorm gli venne incontro, stava parlando con alcuni uomini presenti nel suo studio. Sembrava che anche lui, come gli altri fosse stato tirato giù dal letto: la  barba  incolta,  i capelli scompigliati. Indossava una camicia  di cotone grigia lunga fino alle ginocchia, con scollo a v e   dei jeans blues, sbiaditi. La tunica di lana con il cappuccio, i pantaloni e le scarpe erano umidi. Era uscito con questo freddo?

Per Lucas, Thorm era un amico, un  fratello. Era il detentore delle  antiche arti della medicina e  del sapere di  Lacoonia. La memoria di tutto un popolo.

Dok, come spesso era chiamato, voleva  parlare con Lucas da solo. Fece un  cenno ai sui assistenti che uscirono prontamente, chinando il capo in cenno di saluto. Marco si fermò davanti e gli rivolse uno sguardo accorato, il viso deturpato dall'acne, del ragazzino, era più mesto del solito. Tutto questo mistero  cominciava davvero a dargli la nausea. Dok  si  tolse gli occhiali,  che non utilizzava per una reale necessità, ma per puro divertimento, convinto che due piccole lenti potessero dargli quell’aria colta ed intelligente, ma che invece gli davano l'aria di uno squilibrato.  Li posò delicatamente sulla grande scrivania.  Il piano del tavolo era  grande, rivestito  in pelle e lavorata con circonferenza dorata. Accese la luce della bella lampada in ottone brunito, poi  crollo sulla poltrona, massaggiandosi le sopracciglia in segno di evidente stanchezza. Sospirò profondamente. Lucas, si era seduto su una delle due poltrone di velluto, poste di fronte la scrivania di Thorm, attendeva accigliato. Ora le mani di Dok coprivano il volto tirato,  a nascondere una smorfia di dolore. Ma Lucas non se ne accorse, irritato per il freddo preso, e per l’urgenza con la quale Thorm l’aveva chiamato. In  quell’attesa, per lui inutile, si stava massaggiando un piede in cerca di ristoro dal freddo pungente.

“Spero per te, che si stia scatenando la furia degli dei, perché solo loro ti potranno salvare questa volta. Fa un freddo cane, lo sai? Ero beatamente crogiolato fra le braccia della mia adorata Elandra quando mi hai fatto chiamare….Allora… si può sapere….?” La voce era un misto fra l’ironico e l’irritato,  non era ben chiaro quando iniziava l’uno e finiva l’altro.

“Come eri “fra le braccia di Elandra”? Elandra era con te quando ti hanno chiamato?” Thorm si era alzato di scatto dalla sua postazione, le mani cadute pesantemente sulla scrivania, sorreggevano il peso del corpo proteso verso l’amico. Il tono della voce era concitato, urgente. Come un ruscello che si riempie in fretta al primo temporale estivo. Lucas lo fissava sbigottito. Gli occhi sgranati. “che dio mi aiuti? Ma che ti prende?” Si era lievemente spostato in dietro con la testa, a guardare meglio il volto dell’amico che appariva tirato. Era chiaro che aveva pianto,  che stava ancora cercando di trattenere le lacrime. Gli occhi erano rossi, e gonfi. Lucas si alzò leggermente e con uno sguardo interrogativo cercava di capire cosa fosse capitato all'amico  che lanciava brevi e continui sguardi in direzione del corridoio.

Lucas lo fissava, il suo occhi trapelavano inquietudine. Aggrottò le sopracciglia e strizzò gli occhi come per mettere a fuoco,  inclinando leggermente la testa. “Dannazione Thorm!” l’imprecazione mugugnata era stata attenuata dal terrore  che si faceva strada nel profondo della sua anima, una sensazione di nausea gli invadeva ora la bocca, e  l’improvviso accelerare dei suoi battiti lanciarono un terribile sospetto!

Si girò verso il corridoio in direzione della stanza mortuaria, rivedeva il del tavolo  coperto con il telo bianco,  poi di nuovo verso il dottore immobile. Lo sguardo fisso.

Mi dici, perché sono qui, Thorm? Mi sto incazzando davvero molto ora, sai?Di chi è il corpo steso nella sala la in fondo?” I suoi occhi si fecero rossi, incide della sua ira crescente,  e la  pelle cominciò a tirare. Le mani si chiusero a pugno,  mentre iniziavano a tremare. Era  sempre più nervoso e la sua attenzione era proiettata verso la sala.

Dok spostò il volto di lato, e abbassò lo sguardo.

“Pochi minuti fa, ero appena entrato nelle mie stanze, Marco mi è venuto a chiamare. La sentinella aveva avvistato un fascio di luce provenire dalle mura esterne alla rocca, poco  distante dall’agrumeto. Nell’area avevano trovato il corpo di una donna. Una giovane donna morta, avvolta in una tunica rossa. Mi sono recato sul luogo.  Gli arkers avevano gli occhi disperati, uno di loro piangeva. Sembravano un gruppo di  bambini….” La voce di Dok era rotta dal pianto che risaliva su dalla gola. Alzò gli occhi in quelli dell’amico. “Sei… sei sicuro che Ela era con te, quando ti hanno chiamato?” La voce usciva dalla gola in modo innaturale per uno come lui, fino a smettere di essere udibile.


Sicuro? Sicuro di cosa? Lucas, si girò velocemente e superò in pochi istanti la distanza che si frapponeva fra lui e la stanza dove c’era il corpo. Sollevò con un solo strappo il telo che lo copriva. La paura permeava ogni cellula del suo essere. Rimase immobile per un palpito, mentre il lenzuolo ricadeva leggero sul pavimento, un movimento lento, lungo un intero attimo. La mano tremava, mentre spostava i lunghi  capelli chiari dalla fronte e dal viso che si erano sollevati leggeri nell'aria. Riconobbe subito  il volto pallido e senza vita, il delicato profilo, la deliziosa carnagione chiara lievemente tinteggiata dal rosa delle  efelidi. Gli occhi erano chiusi nel  viso sereno, come addormentato.

Il corpo che giacevi immobile,  era quello di  Elandra. L’amore della sua vita, era distesa ed esanime.  La vista ondeggiò per il martellare crescente alla testa. Barcollo leggermente ed indietreggio di uno, due passi, poi come preso dalla follia corse via velocemente, ci vollero solo pochi secondi per arrivare davanti alla porta della sua stanza.

Indugiò un attimo, poi spalancò la porta con furia, fino a farla barcollare sui cardini.    Si rese conto solo dopo che, se  Ela dormiva,  l’avrebbe spaventata. La vedeva sollevarsi dal letto, in un sussulto di irritazione “ Ma che diavolo fai?” Si,  sarebbe stata furente per essere stata svegliata di soprassalto. La piega della fronte sollevarsi. Ma  l’immagine svanì velocemente. Dal letto non ci furono movimenti.  Il supremo si avvicinò, posando i piedi sul tappeto di morbida lana, rallentava progressivamente nell'avvicinarsi alle sponde, e attese alcuni secondi prima di spostare le lenzuola lentamente. Il letto era vuoto. Passo la mano delicatamente. Il letto era tiepido da entrambi i lati. Una densa oscurità  si faceva strada ora nella sua mente. Cercava di scacciare  il fastidioso pensiero che potesse essere  davvero lei, la donna  adagiata sul lettino.


 No, non era possibile, era li pochi minuti prima, l’aveva sentita muoversi quando si era alzato per aprire la porta.  O no? No, poteva sentire ancora il calore del suo morbido corpo, appoggiato alla sua schiena. La sua dolce bocca posata sul suo collo. Nelle narici era ancora presente il suo odore. Quella dolce fragranza di  gelsomino e zagara. Quel  profumo  sensuale ed  avvolgente che gli faceva girare la testa. Chiuse gli occhi. Ed inspirò profondamente.

“Dove diavolo sei Ela?” Appoggiò le mani sul volto, poi una folgorazione. Girò la testa di lato, in direzione della porta che conduce verso le stanze di Farrel. Un sorriso illuminò il volto del supremo che prese a camminare in direzione della stanza del figlio. Fece scattare con il pensiero le serrature, per non perdere tempo, ed entro d’impulso nella stanza, proiettato verso la curve femminile che  percepiva appena.

Il rumore fece girare la donna.

“Buon giorno signore, avete visto  Elandra? Farrell ha al febbre, ho sentito che piangeva ma non trovo la signora da nessuna parte” La voce pacata ed incalzante di risposte,  non era chiaramente quella di Elandra. Ma di Laura.

“No, non l’ho vista….” Lucas indietreggiava lentamente. Si voltò velocemente, e riprese i suoi passi, in direzione dell’infermeria. LA donna che lo chiamava, alle spalle. Entrò lentamente e trovò Thorm vicino al tavolo dove riposava Elandra. Dok lo sentì avvicinarsi. Era stato via solo pochi minuti.

 “Questa non è la mia Ela, non può essere lei, …no, ci deve essere un’altra spiegazione”  Lucas era stato un feroce guerriero, capace di incutere terrore  ai nemici solo con la sua presenza in campo, ora tremava, scosso dal dolore crescente per la perdita dell’unica donna che avesse mai amato. Le  forti braccia raccolsero delicatamente il corpo magro e sfinito della ragazza. I capelli color dell’oro che lo circondavano ricadevano impalpabili. Una mano cadde oltre il lettino e il volto si girò lievemente. La mano sfiorò il viso, e un aspro sorriso gli  increspo le labbra. Gli occhi erano pieni di quelle lacrime ch nessuno aveva mai visto. Lucas fu accecato dai ricordi che,  come lucciole  iridescenti gli volteggiavano davanti agli occhi.


Durante l’inverno, poco prima dell’alba, era abitudine per gli abitanti di Lacoonia, raccogliere  le vongole,  i lumachini e i cannelli che si trovavano nelle secche. In una mattina particolarmente mite, furono  alcune donne accompagnate dai bambini, che si recavano   al mare, a dare l’allarme. Il suono della sirena arrivava direttamente dalla torretta della sentinella. Quel suono aveva spezzato il sonno degli abitanti di Lacoonia, e avrebbe cambiato per sempre la vita del loro Supremo.

Lucas, scortato da alcuni arker scesero alla spiaggia. I primi corpi, sospinti dalle onde, furono trovati  nascosti tra gli scogli o adagiati sulla battigia. Ma mentre la città cercava di capire cosa fosse successo, altri corpi si fermarono sulla riva durante tutto il giorno. Circa 140 persone in tutto: donne , uomini, bambini….Impossibile capire cosa fosse successo, da dove venissero tutte quelle persone, e come fossero riusciti ad arrivare fin li. Passarono giorni in cerca di spiegazioni. Ma nulla.

 Una settimana dopo,  il mare restituiva il corpo di una donna in evidente stato di gravidanza e di un bambino. Entrambi vivi, ma in fin di vita.

La donna si chiamava Elandra. La loro nave era stata  speronata a  largo delle coste delle coste della Mauritania, nell’Africa Occidentale. I pirati erano riusciti ad isolarla e l’avevano condotta abbastanza lontano dalla costa da impedire alle altre  imbarcazioni che facevano parte della flotta,  di raggiungerla. Una volta raggiunte le isole di Capo Verde, i pirati salirono  a bordo. Trucidarono i 18  uomini dell’equipaggio, compreso il marito di Elandra, e poi buttarono i loro corpi in mare, mentre le donne e i bambini furono rinchiusi nella stiva.

Ma lo speronamento dell’imbarcazione era stato troppo violento e l’imbarcazione cominciò ad imbarcare acqua. Le donne provarono a tamponare l'acqua con le mani ma non vi fu nulla da fare. Sotto la pressione dell’acqua la struttura cedette completamente: la gente in mare, il panico, le urla disperate e le teste che sparivano annaspando: questi erano gli ultimi ricordi di Elandra.


Lucas ricordava bene  la prima volta che l’aveva vista. I suoi occhi. Un turchese profondo, con leggere screziature d’orate.  La stavano portando d’urgenza in sala operatoria, distesa sul lettino dell’ospedale, mentre Dok la preparava per un operazione che le avrebbe cambiato la vita. Inspiegabilmente era rimasto li, qualcosa in lei gli dava una sensazione di deja vu amaro, nostalgico. La ricordava piangente quando, dopo aver aperto tremolando le palpebre, il verde oro dei suoi occhi lo fissavano, in cerca di una risposta, e quando questa arrivò, il terrore offuscò il suo sguardo lasciando spazio alle lacrime e all’angoscia che seguirono. Il cuore di Lucas soffrì per lei.

Ma il ricordo che più lo lasciva senza fiato, quello che l’ aveva  emozionato più dei mille tramonti vissuti, più del volo degli uccelli sulle onde increspate del mare di Lacoonia, che lo scuoteva  più del fragore delle spade nelle infinite battaglie combattute,  fu il periodo che segnò la rinascita di Elandra: lei era meravigliosa. L’essere  più straordinario che avesse mai visto nella sua lunga,  lunghissima vita.  Aveva perso tutto, suo marito, il figlio che portava in grembo, e aveva abbandonando ogni speranza di poterne avere altri, ma era riuscita a  rimettersi  in piedi. Aveva un sorriso per tutti,  una parola di conforto per ogni uomo  o donna che a lei si rivolgeva. La ricordava ridente mentre si occupava del piccolo Farrell.  Dio come avrebbe fatto ora. Come avrebbe potuto dire ad un bambino di sei anni che la sua adorata mamma, non c’era più. Poi gli occhi caddero sulla piccola voglia  sulla caviglia. Quante volte  le sue labbra avevano indugiato delicatamente su le  piccole  ali di farfalla color ambra?

Lucas sbatté le palpebre leggermente, d’istinto  aveva appoggiato lo sguardo sulla farfalla, ma dentro di lui qualcosa non era al posto giusto.

Lucas si mosse  barcollante, instabile. Teneva strettamente l’esile corpo. Le lacrime ricadevano sul viso della giovane. E mentre il vuoto accelerava le sue spirali nella mente di Lucas, Elandra era li, dall'altra parte della stanza. Lucas, percepì la sua presenza ancora prima di vederla. La donna era in piedi, e sorrideva un po’ tristemente mentre i suoi lunghi capelli  si muovevano ad una leggera brezza impalpabile. Le lacrime solcavano le sue guance  e la bocca cominciò a tremare. La camicia da notte color perla fluttuava mossa da una forza invisibile, la stessa che muoveva i lunghi capelli sciolti, e le accarezzava i piedi nudi lasciando scoperte le caviglie, la farfalla sulla caviglia sinistra sembrava muoversi.

Lucas scuoteva la testa. Incredulo. Qualunque cosa tu sia: allucinazione, sogno, spirito, …non dire nulla, non andare via, rimani qui…. La gola di Lucas bruciava, e quelle parole non uscirono dalla sua bocca.

Un sorriso triste si distese sul viso della giovane. Lucas fissava l’apparizione, si alzò lentamente lasciando delicatamente il corpo. La figura la guardò, e socchiuse gli occhi. Le lacrime scesero velocemente lungo il viso. L’aria intorno ad Elandra si mosse, e lei indietreggiò in un  tunnel d’onde circolari, a simulare l’effetto di un sasso lanciato  nell'acqua, poi un onda d’energia invasa la sala e lei svanì definitivamente.

L’orrore aveva riempito il suo corpo. Un senso di nausea salì rapido fino alla gola, aumentando il dolore che gli aveva procurato le lacrime. Cadde sulle sue ginocchia. Non riusciva a rimettersi in piedi. Stordito, completamente in balia di un senso di intontimento crescente.


***

“E’ meravigliosa. Lacoonia, è meravigliosa. E’ sorprendente …vorrei che rimanesse per sempre così, così come è adesso:  con   il profumo dei fiori che rasserenano l’aria, e il vento che lo porta lontano…”    Ma nulla può rimanere invariato. La primavera non rimane per sempre. Elandra era bellissima nel suo vestito da sposa, aveva la vita alta posizionata appena sotto il seno che allungava ancora di più la sua figura già alta e sinuosa, alla fine del dolce drappeggio c’erano dei  decori che ricordavano la  zagara  in piena fioritura, sotto cui era seduta. Guardava lontano verso il mare, e i suoi lunghi capelli erano semplicemente raccolti con una mezza coda, liberi di danzare leggeri  nella brezza primaverile.

Per Lucas era chiaro solo ora, lei era angosciata… Gli occhi di Elandra tradivano uno smarrimento, una inquietudine, che lui aveva sempre interpretato come il ricordo dell’’esperienza dolorosa del rapimento. Ma forse la sua piccola zagara nascondeva qualcos'altro.

***


Thorm era appoggiato con la testa  alle mani,  i gomiti sulla morbida pelle della sua scrivania. Aveva lasciato Lucas che si dirigeva come uno spettro verso le sue stanze, e lui si era diretto nello studio. Si mise una mano sulla fronte, sfregandola dolorosamente. Per lui tutto questo era un mistero. Lucas sosteneva che Ela era con lui.  Ma questo corpo era già qua quando diede l’ordine di convocarlo. Cosa era successo? Chi era questa ragazza che sembra in tutto e per tutto,  Elandra? Cosa ci faceva fuori dalle mura della rocca e chi era la  bambina? I pugni serrati, stringevano le dita.

Il corpo di Elandra, era stato portato nello scanner biologico. Sperava che l’analisi  del corpo potessero portare a qualche risoluzione all'enigma della morte. E aspettava anche i risultati dei rilievi nell’area del ritrovamento.

Con questi domande in testa, cominciava a studiare i primi referti che gli arrivavano dalla sala analisi. Ciò che vedeva non gli piaceva.

Dalla porta dello studio Marco, entro trafelato, il viso tirato “ Dottor Thorm, sta rischiarando!” A quelle parole, dopo pochi secondi di incertezza, Thorm si alzò di scatto dalla sua scrivania, si girò leggermente con il busto verso un’ agenda posizionata appena di lato. Si sollevò velocemente, voltandosi verso le finestre. Una lieve luce filtrava timida dalle finestre. Era l’aurora. Un chiarore rosato accompagnava il sole verso l’alba! Non sarebbe stato tutto così tremendamente strano se non fosse che era il 13 dicembre.  “Dannazione cosa sta succedendo a Lacoonia?”

Thorm  percorse rapidamente il corridoio del suo studio, e si precipitò giù per le scale in direzione della sala circolare. Due livelli sotto. Doveva superare due livelli per raggiungerla. Con un lieve tocco su alcune pietre poste su un tavolo di granito verde rotondo, attivò un immenso schermo verticale che  identificava la situazione di Lacoonia.

Le dita si mossero veloci sulla tastiera. “Dannazione, dannaZIONE, DANNAZIONE!”

Thorm portò le mani sul volto, le alzo poi in alto per farle ricadere violentemente sul marmo. Il granito si mosse sotto i colpi del possente guerriero.

Doveva parlare con Lucas subito. Metterlo al corrente di cosa stava succedendo. Era ormai certo, che quello che stava capitando era direttamente connesso alla morte di Elandra.